Il 56% dei marketer utilizza la viewability (VCPM) per valutare il successo del posizionamento dei propri annunci digital.
Un recente studio condotto da Theorem per Sublime Skinz, french tech company specializzata nella distribuzione e nell’ottimizzazione di formati di skin advertising (wallpaper), ha quantificato l’importanza commerciale della viewability per una campagna ads, sia dal punto di vista delle agenzie (lato acquisti), sia dal punto di vista dei publisher (lato vendite).
Più della metà degli intervistati del sondaggio ha dichiarato di utilizzare proprio la viewability come parametro per misurare le campagne.
Il concetto sembra semplice, in teoria: ogni annuncio vale per quanto è effettivamente in grado di essere o non essere visualizzato.
La viewability, infatti, tiene traccia solo delle impression effettivamente visualizzabili dall’utente (viewable impression) e si contrappone al numero di erogazioni totali dell’annuncio, anche non visualizzate (served impression).
Tuttavia il 52% degli intervistati ha anche dichiarato che esiste ancora una effettiva mancanza di coerenza dei dati rispetto a questo parametro e che proprio lo sviluppo di questo tipo di misurazione è la sfida per il futuro del mercato, dato che le metriche attuali non sono ancora in grado di catturare in modo coerente la viewability per le unità pubblicitarie non standard (native adv). Sono questi tipi di annuncio, invece, ad essere i più efficaci per i vari marchi, stando ai dati del sondaggio.
Comprare e vendere annunci sulla base della viewability significa tenere presenti una serie di ostacoli legati a questa metrica, che hanno dato vita a una serie di falsi miti.
Scopriamoli e sfatiamone alcuni.
1. La viewability sta perdendo importanza nel mondo dei media digitali
In realtà la
viewability è diventata uno
strumento di misurazione indispensabile per brand e agenzie per valutare le performance delle loro campagne.
Nei prossimi due anni, secondo la ricerca, si prevede che circa
il 57% del brand advertising sarà basato proprio sul VCPM.
Più procederemo verso la
diversificazione dei dispositivi e dei canali e verso la
personalizzazione degli annunci, più sarà importante utilizzare questa metrica come parametro di effettiva visualizzazione.
2. L’attuale standard di viewability è la metrica ottimale per il brand advertising
Sebbene la viewability stia diventando uno degli strumenti principali con cui i marketer misurano l’efficacia delle loro campagne, ci sono ancora molte sfide da superare per poter applicare in modo attendibile questo modello a tutto il settore, dai
diversi sistemi di ad, alle
diverse piattaforme che li ospitano.
Una pubblicità su Facebook è ancora differente rispetto a un annuncio su Youtube e allo stesso modo lo è la misurazione della sua viewability.
Solo il 57% dei player pubblicitari considera lo
IAB uno standard ottimale per la viewability, ma le differenze sono ancora troppe.
Quali sono le variabili che portano all’identificazione dello IAB come standard ottimale?
Lo IAB contiene la
definizione di contenuto effettivamente visualizzato, che viene considerato tale in base ai
diversi formati in cui l’annuncio è prodotto. Le inserzioni in formato
display vengono considerate visualizzate quando almeno il 50% dei pixel del banner viene visto per un secondo o più, mentre per un annuncio
large display è sufficiente il 30%.
Per i
video, il tempo deve essere almeno di due secondi, con una visualizzazione minima del 50% dei pixel dell’inserzione.
>>>Vuoi approfondire l’argomento? Incontra il team di Sublime Skinz allo IAB Forum Italy il 29 e 30 Novembre a Milano – Stand B4.7
3. I metodi di misurazione attuali sono adeguati a misurare l’efficacia di una inserzione
I venditori utilizzano
metodi di misurazione diversi tra loro che producono discrepanze tra le campagne, rendendo difficile un accordo tra agenzie e publisher sugli effettivi dati dell’ad viewability.
Ogni venditore sviluppa le sue metriche di valutazione e i suoi standard di advertising, rendendo l’intero panorama estremamente
frammentato per le agenzie, che non vogliono affidarsi unicamente a questo o quel venditore.
Non è quindi vero che attualmente i metodi di misurazione siano uniformi e validi per ogni annuncio.
4. Tutti i formati di advertising sono uguali
Comprare e vendere advertising è reso sempre più difficile dalla
diversità di browser, tipo di annuncio, device e formati.
Il risultato è che il mercato spinge fortemente per l’adozione di
metodi di misurazione condivisi, che rispondano a tutte queste variabili e a quelle che i nuovi sviluppi tecnologici prevedono di aggiungere.
5. La viewability è la metrica definitiva per le strategie di digital advertising
Sebbene non sia ancora perfezionata e universalmente adottata come metrica di misurazione, la viewability ha senz’altro il merito di rappresentare
un nuovo modo di valutare l’efficacia di una campagna, non più attraverso l’esposizione, ma
attraverso l’engagement.
Proprio il fatto di non essere ancora perfetta, potrebbe spingere sia le agenzie che i venditori a sviluppare nuovi sistemi di misurazione che tengano presenti tutte le variabili che abbiamo analizzato.
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